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Liquidazione

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La liquidazione degli usi civici su terre private (commento alla legge tratto dalla voce usi civici dell’Enciclopedia Treccani), con il collegamento con la l. 20 novembre 2017 n. 168, sui Domini Collettivi, per quanto attiene al mantenimento del vincolo ambientale “sulle terre anche in caso di liquidazione degli usi civici”.

Premessa – II sistema di liquidazione degli usi delle collettività su terre aliene trova la sua origine negli indirizzi economici dal secolo XVIII in poi, diretti essenzialmente all’affermazione del c.d. individualismo agrario e quindi a considerare nocive arie forme di gestione collettiva: è lo stesso indirizzo che ha portato fin dalle prime leggi eversive della feudalità alla quotizzazione delle terre a vocazione agricola. Negli Stati preunitari la materia era disciplinata da una serie di provvedimenti legislativi, di cui indichiamo i più importanti per consentire al lettore di orientarsi in una produzione normativa assai vasta ma altrettanto specializzata (v. leggi preunitarie). Va tuttavia sottolineato che il legislatore nazionale ha tenuto conto essenzialmente dei principi e tendenze delle leggi abolitive degli Stati meridionali. L’ampio ed elevato dibattito che si ebbe all’epoca dei lavori parlamentari sulla legge di riordino del 1927 è riportato in Riv. deman. 1927, 40 ss.

1. Nell’ordinamento vigente – I diritti d’uso su terre proprie della collettività e di privati (appartenenti a soggetti distinti dalla collettività che li esercita) hanno avuto in passato qualifiche diverse: le varie tesi sono esposte ampiamente in Ranelletti, O. Concetto, Natura e limiti del demanio pubblicoTeoria in Riv. it. sc. giur. XXV,1898, 159 ss. XXVI, 43 ss. e Raffaglio, G., Diritti promiscui, demani comunali e usi civici, 2° ed., Milano, 1915, 3° ed. Milano, 1939).

In prevalenza i diritti dì uso civico sono considerati diritti di un condominio particolare (per facoltà separate) fra utenti e titolare delle terre: questo condominio — che si fa risalire all’istituto di diritto germanico del c.d. condominio a mani giunte (Gierke) — è destinato a trasformarsi con la liquidazione nel condominio frazionario o per quote di diritto romano. Tale concezione, già espressa nella dottrina dei giuristi meridionali, è prevalsa anche nel sistema normativo del 1924-1927. Con la liquidazione il diritto d’uso sulle terre private si estingue come esercizio diretto e si converte nel diritto ad una quota del fondo gravato attraverso un’operazione definita di scorporo e, per le terre migliorate, nel diritto ad un canone in danaro, affrancabile (infra). Invece gli usi sulle terre boschive e pascolive delle collettività sono mantenuti nei limiti dell’art. 1021 c.c. infra).

La legge n. 168/2017 all’art. 3, 6°co., stabilisce che “con l’imposizione del vincolo paesaggistico sulle zone gravate da usi civici, di cui all’art. 142, 1°co., lett. h) del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, l’ordinamento giuridico garantisce l’interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio. Tale vincolo è mantenuto sulle Terre anche in caso di liquidazione degli usi civici”. La norma deve essere interpretata nel senso che l’interesse della collettività a tutelare l’ambiente è tale da giustificare la permenenza del vincolo sulle terre gravate anche dopo la liquidazione e quindi l’attirbuzione della proprietà piena al singolo proprietario. Infatti al fine della  conservazione del vincolo, è indifferente il regime proprietario, se collettivo o individuale.  

2. Sistemi e criteri di liquidazione degli usi su terre private – Sono tratti dalle leggi liquidative degli Stati meridionali di inizio ‘800 e degli ex Stati pontifici. La liquidazione può aver luogo per distacco di quota (c.d. scorporo), con canone ed eccezionalmente, nei soli ex Stati pontifici, con l’attribuire l’intero fondo in proprietà alla popolazione (c.d. liquidazione invertita; infra 2.3.).

 

2.1. Liquidazione con scorporo– È il sistema normale e consiste nel dividere il fondo gravato dagli usi in due quote e nell’attribuire una quota in piena proprietà alla popolazione utente, mentre l’altra resta, libera dagli usi, al proprietario. La quota spettante alla popolazione è commisurata al valore degli usi che vengono a cessare (artt. 4 e 7 1. n. 1766/1927). Gli usi, in quanto imprescrittibili ed irrinunciabili, vanno liquidati con riferimento al tempo di massima estensione del loro esercizio (Cass., sez. II, 27 febbraio 1946, n. 192, in Foro it., 1944-1946, I, 725; Cass., sez. II, 30 marzo 1951, n. 698, in Giur. compl., Cass. Civ., 1952, I quadr., 1; Cass., sez. II, 13 ottobre 1953, n. 3345, in Giur. compl. cass. civ., 1953, V bim., 299; Cass., sez. II, 7 aprile 1975, n. 1240, in Giur. it., 1975. I, 1, 1568).

La valutazione è effettuata secondo parametri astratti predeterminati per classi di usi ed è maggiore per gli usi utili (2° classe) rispetto agli usi essenziali (1° classe). La distinzione fra usi essenziali ed utili fatta in base al carattere personale o speculativo dell’esercizio e finalità dell’uso: alla 1° classe appartengono gli usi esercitati personalmente dagli utenti per i bisogni essenziali della vita, alla 2° classe gli usi aventi prevalente carattere e scopo di industria (art. 4 1egge). Sono essenziali ad esempio il diritto di pascere ed abbeverare il proprio bestiame, raccogliere legna per uso domestico, seminare mediante corrisposta al proprietario, ecc. (art. 4, 2° co.). L’elencazione della legge non è tassativa: gli usi possono mutare nelle varie epoche in relazione al modificarsi dei bisogni della collettività.

L’essenzialità dei bisogni, nella liquidazione, deve essere riferita al momento costitutivo dell’uso a prescindere dalle variazioni successive (Cass., sez. II, 7 aprile 1975, n. 1240, cit.).

La quota a favore della popolazione è stabilita secondo una scala di compensi che va dal minimo di 1/8 al massimo di 2/3 del fondo in relazione alla classe degli usi ma tenendo sempre conto dei bisogni della popolazione (art. 8 r.d. n. 332/1928). Nel determinare in concreto la quota si deve tener conto della estensione e valore del terreno al momento della divisione (artt. 5 e 6, 1° co., 1. cit. e art. 8 reg. di attuazione approvato con r.d. n. 332/1928). La liquidazione degli usi, con scorporo o con canone, è infatti assimilata dalla giurisprudenza più recente ad un giudizio divisionale (Cass., sez. II, 7 aprile 1975, n. 1240, cit.).

 

2.2. Liquidazione con canone – Quando le terre sono migliorate con opere sostanziali e permanenti, come nel caso di destinazione diversa da quella produttiva ed anche quando si tratti di piccoli appezzamenti non raggruppabili in unità agrarie, non si procede al distacco e la quota spettante alla popolazione è convertita nell’equivalente pecuniario (canone annuo, art. 7, 1° co., 1. cit.): ragioni di politica agraria ed il favore legislativo per la piccola proprietà contadina hanno fatto sì che questa forma di liquidazione — che nel sistema della legge era marginale — diventasse prassi costante dei commissariati.

È comunque preliminare l’indagine sull’esistenza delle migliorie e sulle condizioni della liquidazione con canone ai fini della scelta del sistema liquidativo (art. 13 r.d. n. 332). Dato il lungo iter dei procedimenti e la preferenza accordata al sistema liquidativo con canone si è ritenuto doversi tener conto anche delle migliorie effettuate o completate durante gli accertamenti (Cass., sez. II, 7 aprile 1975, n. 1240, cit., e, sui criteri di stima, Commissione usi civici Lazio, 24 maggio 1982, n. 3, in Riv. dir. agr, 1984, II, 46; v. anche Cerulli Irelli, V., Problemi della liquidazione degli usi civici mediante compenso in canone, in Nuovo dir. agr., 1981, 621, e circa la rivalutabilità dei canoni cfr. infra ). Il canone è affrancabile con un procedimento di competenza comunale (art. 33 r.d. n. 332). Nel Lazio con 1. reg. 3 gennaio 1986, n. 1 e succ. mod, si è stabilito che quando la liquidazione dei diritti civici ha per oggetto terreni edificati, il canone è commisurato al valore edificatorio del terreno (art. 4).

 

2.3. Liquidazione con assegnazione dell’intero fondo alla popolazione (cd. liquidazione invertita)– Eccezionalmente e solo negli ex Stati pontifici la liquidazione con canone può essere invertita con provvedimento discrezionale: quando è dimostrato il bisogno di terre da parte della popolazione, l’intero fondo gravato dagli usi (o dall’uso) può essere assegnato in proprietà piena alla collettività utente che è tenuta a corrispondere un canone annuo al proprietario (art. 7, 2° co., 1. cit. che recepisce l’art. 9 r.d. 3 agosto 1891, n. 510, sull’abolizione delle servitù civiche negli ex stati pontifici, e art. 13 r.d. n. 332).

 

3. Usi anomali e minori. Tolleranze. Sono soggetti a liquidazione anche usi anomali non consistenti nell’utilizzazione diretta dei beni ed in genere esercitati dal comune per la popolazione su beni privati: diritto di vendere erba, stabilire i prezzi dei prodotti, pagare la tassa-fida per il pascolo, ecc. (art. 4, 4° co., 1. cit.).

Vi sono poi gli usi c.d. minori in quanto si riferiscono ad utilità in genere residuali, ma che in determinati contesti socio-economici possono anche assumere interesse primario: ad esempio l’uso di caccia, in alcune zone l’uso di raccogliere lumache, cipolle, ecc.; meramente residuali sono lo spigolare, raccogliere erba, canne e simili: in genere sono veri e propri diritti solo se derivano da titolo, altrimenti si tratta di consuetudini (c.d. tolleranze). Per legge è consentita la continuazione dell’esercizio in natura fino a che l’uso non diventi «incompatibile con la migliore destinazione data al fondo dal proprietario»; in tal caso, se c’è il titolo, l’uso va liquidato, altrimenti cessa senza compenso (art. 4, ult. co., 1. cit., e art. 9 r.d. n. 332, cit.), (Cass., S.U., 26 marzo 1957, n. 1049, in Giust. civ., 1957, I, 1972).

 

4. Usi di pesca – Non sono soggetti a liquidazione e quindi non vi è obbligo della denuncia di cui all’art. 3 1. cit. (infra) (Cass., 5 luglio 1967, n. 1663, in Foro it., 1967, I, 2364, e in Giust. civ., 1967, I, 1609): essi vanno esercitati in conformità dei regolamenti deliberati dai comuni ed approvati dalle Camere di Commercio, Industria ed Agricoltura (art. 10 r.d. n. 332) (Cass., 14 marzo 1962, n. 526, in Foro it., 1962, I, 638, e in Giust. civ., 1962, I, 845).

 

5. Procedimento – Ha oggi un’importanza secondaria perché le liquidazioni di maggior rilievo sono state già definite in passato e molto spesso, specie nell’Italia centrale, con compensi irrisori.

 

5.1. Denuncia degli usi – L’art. 3 della legge n. 1766/1927 ha posto l’obbligo di denuncia degli usi non in esercizio nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della legge. Il termine scadeva il 3 aprile 1928 ed era stabilito a pena di decadenza. La necessità della denuncia e quindi la sanzione della decadenza riguarda soltanto gli usi su terre private, che nel sistema della legge del 1927 sono i soli diritti soggetti a liquidazione e quindi a denuncia: in proposito la giurisprudenza ha sempre chiarito che il legislatore del 1927 quando parla di usi civici si riferisce ai diritti su terre private e non ai diritti civici esercitati sulle terre di ap-partenenza delle collettività o associazioni agrarie. Questi diritti infatti non sono suscettibili di liquidazione e quindi di estinzione ma, come diritti di proprietà, sono mantenuti e potenziati, anche se trasformati nell’oggetto, a favore della popolazione (Cass., 19 luglio 1937, n. 2566; Cass., 26 maggio 1939, n. 1734, in Giur. it., 1939, I, 1, 1037; Cass., 5 luglio 1951, n. 1766, in Giur. compl., Cass. civ., 1951, II quadr., 671; Cass., sez. II, 13 ottobre 1953, n. 3345, cit.; Cass., S.U., 16 luglio 1958, n. 2598, in Riv. giur. umbro-ab., 1960, 197).

 

5.2. Prova degli usi civici – Gli usi denunciati vanno accertati e va data prova della loro esistenza, natura ed estensione. È ammesso qualsiasi mezzo di prova ma se l’esercizio dell’uso è cessato prima del 1800 è necessaria la prova documentale (ari. 2 1. cit.). Anche questo limite è stato interpretato con riferimento ai soli diritti su terre private, in genere ex feudali, dato che per le terre delle popolazioni, per le quali manchi un titolo di proprietà (o allodialità), l’anteriore possesso della collettività fa presumere la qualità civica. Il principio, che ha importanza fondamentale per quanto attiene l’onere della prova, è stato più volte affermato dalla Cassazione per i demani dell’Italia meridionale, ma lo si ritiene esteso a tutti gli anteriori possessi collettivi (Cass., sez. II. 13 ottobre 1953, n. 3345, cit., con la requisitoria del p.g. M. Berri e nota di R. Trifone).

La tendenza a restringere l’applicazione del principio della presunzione di usi su feudi solo all’Italia meridionale ha contro una consolidata giurisprudenza di più di un secolo, che è stata anche confermata dalla Cassazione (Cass., sez. II, 6 maggio 1980, n. 2986, in Giur. agr. it., 1980, 559).La prova deve riguardare l’esercizio originario degli usi: prova documentale è anche quella della feudalità del territorio su cui gli usi sono esercitali (Cass., sez. II, 13 ottobre 1953, n. 3345, cit., e sez. II, 6 maggio 1980, n. 2986, cit.); ma, poiché la feudalità non si presume, anche tale prova va data con documenti secondo i principi propri del diritto feudale. Data la difficoltà di rinvenire i titoli originali di investitura, già la Commissione Feudale ne ammetteva equipollenti (Mass. VII Comm. Feudale sancita come norma di legge dal Regio Rescritto 20 settembre 1815; Cass., sez. lì, 27 febbraio 1946, n. 192, in Foro it., 1944-1946, I, 725, e in Giur. compl. cass. civ., 1946, I quadr., 354). Provata la feudalità di un territorio e l’esistenza in esso di un nucleo anteriore di popolazione, non occorre quindi altra prova di usi originari (Cass., sez. II, 13 ottobre 1953, n. 3345, cit.). Questa presunzione di prova non risale tanto al principio ubi feuda ibi demania che presuppone la natura pubblica delle terre infeudate quanto alla realtà economica del mondo feudale: le terre infeudate sarebbero state abbandonate ad un titolare che non aveva capacità imprenditoriali ove non fossero stati riconosciuti alle popolazioni i diritti essenziali a sostenersi. Si è anche osservato che il mantenimento degli usi si accompagna in genere alla necessità di coltivazione delle terre (Astuti).

 

6. Progetto di liquidazione e mezzi di opposizione – Il procedimento è assai semplice e rapido (arti. 11-16 r.d. n. 332 e 6 1. cit.). Di norma l’ufficio nomina un perito che redige un progetto di liquidazione con le eventuali modifiche disposte dall’ufficio regionale. Il progetto è pubblicato mediante deposito nella segreteria del comune o ente e notificato ai singoli interessati (art. 15 r.d. n. 332). La pubblicazione crea oneri di impugnativa (e di prova) per il possessore che contesti gli accertamenti positivi (cioè quando vengono accertati i diritti della popolazione) (Cass., S.U., 26 giugno 1962, n. 1657, in Giust. civ., 1963, I, 391). E’ molto contestata la legittimazione (processuale) ad opporsi del non possessore: superata la tesi che vedeva nell’opposizione al progetto un giudizio possessorio, si tende ora ad escludere la legittimazione del non possessore (ad es. chi abbia alienato il bene). L’opposizione va proposta al Commissario che decide come giudice sulle questioni di diritto (ari. 29 1. cit.), mentre rimette gli atti in sede amministrativa (oggi alla Regione) quando vi siano istanze di legittimazione (Cass., S.U., 24 febbraio 1938, n. 602; Cass., S.U., 4 giugno 1956, n. 1874, in Giust. civ., 1956, I, 1667). L’opposizione sospende il procedimento amministrativo che riprende dopo l’esaurirsi della fase contenziosa. In difetto di opposizione, ovvero al termine del giudizio, il progetto è reso esecutivo ed è titolo per la riscossione dei canoni e per le operazioni di distacco e rilascio delle terre (art. 15 r.d. n. 332). Si ritiene che se il progetto esclude l’appartenenza dei beni o diritti alla popolazione, questa non abbia onere di impugnativa trattandosi di accertamento amministrativo sempre soggetto a riesame e quindi a integrazione o revisione: l’opposizione al progetto è infatti diretta contro il provvedimento che accerta gli usi e ne dispone la liquidazione (Cass., 20 ottobre 1976, n. 3660).

 

7. Natura giuridica del provvedimento di liquidazione – Per lungo tempo il provvedimento di distacco della quota o di determinazione del canone fu considerato atto amministrativo definitivo emesso nell’esercizio di un potere discrezionale e quindi ricorribile innanzi il giudice amministrativo: l’ufficio deve infatti sempre tener conto dei bisogni della popolazione anche se «in relazione ai diritti riconosciuti» (art. 8 r.d. n. 332; Cons. St, sez. VI, 22 luglio 1950, n. 232, in Giur. compl. cass. civ., 1950, III quadr., 820).

E’ prevalsa poi la tesi che, ove sorgano contestazioni da risolversi in contraddittorio circa la misura del compenso in concreto, si tratta di questione su diritti che il Commissario decide come giudice. Il giudizio di liquidazione è stato così assimilato ad un vero e proprio giudizio divisorio su diritti conformemente alla concezione che di tali diritti ha il legislatore (v. supra, 2.4.1.), e sono stati riconosciuti al Commissario in sede di opposizione poteri di giudice speciale. Le decisioni commissariali sono con-siderate di natura giurisdizionale e soggette a reclamo innanzi la sezione speciale usi civici della Corte di appello se vengono in contestazione esistenza, natura e qualità dei diritti civici (art. 29, 1° co., 1. cit.): sono invece ricorribili direttamente in Cassazione ex art. Ili Cost. se la vertenza riguarda misura e criteri del distacco (Cass., S.U., 3 aprile 1963, n. 829, in Giust. civ., 1963, I, 992, e in Riv. giur. umbro-ab., 1963, 98; v. anche nota critica di Cannada Bartoli, E., “Natura giuridica del provvedimento di liquidazione degli usi civici mediante compenso” in Riv. trim. dir. pubbl. 1967, 353 ss. ).

Brevi note

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