Il processo usi civici

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Il processo usi civici  regolato dalla l. 16 giugno 1927 n. 1766, r.d.  26 febbraio 1928 n.332 e l. 10 luglio 1930 n. 1078  (commento tratto dalla voce usi civici dell’Enciclopedia Giuridica  Treccani, aggiornato con il d.lgs 1 settembre 2011 n.150 di semplificazione dei procedimenti civili di cognizione ex art. 54 l.18 giugno 2009 n.69).

  1. I commissari per gli usi civici – Nel sistema della legge n. 1766 del 1927 alle operazioni di sistemazione dei beni e diritti collettivi provvedevano organi speciali di giurisdizione ordinaria succeduti agli organi preunitari (art. 34): i commissari regionali per gli usi civici. I commissari svolgevano in prevalenza funzioni amministrative, ma quando nel corso delle operazioni sorgevano contestazioni su diritti dovevano risolverle in via incidentale come giudici sospendendo nei frattempo il procedimento: per questo la giurisdizione dei commissari era detta incidentale (Cass., 4 gennaio 1975, n. 3): la duplicità di funzioni fu del resto considerata legittima anche da C. cost., 25 maggio 1970,  n. 73, in Foro it., 1970, I, 1536. La giurisdizione dei commissari è qualificata speciale e quindi se sorge controversia sulla loro potestas si propone regolamento di  giurisdizione e non di competenza (Cass., S.U., 10 ottobre 1966, n. 2425, in Foro it., 1966, I, 2018), ed è inquisitoria poiché il commissario ha poteri di impulso d’ufficio (art. 3 1. cit.). La direzione suprema sull’esecuzione della legge, intesa come potere di vigilanza e di coordinamento, era affidata al Ministro dell’Agricoltura e Foreste (MAF) (art. 37 l. cit.) che aveva anche il potere di promuovere d’ufficio i giudizi a difesa dei diritti della popolazione (art. 10 l. n. 1078 del 1930).
  2. Procedimento di nomina – Nell’ordinamento vigente i commissari sono nominati dal CSM (Consiglio Superiore della Magistratura). Nel sistema di cui all’art. 27 l. cit. i commissari, scelti fra magistrati ordinari di grado non inferiore a consigliere di Corte d’appello, erano nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell’Agricoltura e col consenso del Consiglio Superiore della Magistratura (e in precedenza dal Ministero di Grazia e Giustizia). Dopo il trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni operato dal d.P.R. n. 616/1977, i commissari sono nominati dal CSM. La Corte costituzionale, investita della questione, ha infatti ritenuto incostituzionale l’art. 27 nella parte in cui attribuiva il potere di proporre la nomina dei commissari al MAF che oramai non ha più le funzioni amministrative in materia (sent. 13 luglio 1989, n. 398, in Foro it., 1989, I, 3023).
  3. Separazione delle funzioni amministrative e trasferimento alle Regioni. – Con l’attuazione dell’ordinamento regionale, la situazione è cambiata e le funzioni amministrative sono state trasferite pressoché integralmente alle Regioni. Il trasferimento ha avuto luogo dapprima nelle Regioni a statuto speciale dove gli usi civici sono stati trasferiti come materia autonoma (v. statuti): nella Regione Trentino-Alto Adige le funzioni sono state trasferite direttamente alle Giunte provinciali di Trento e Bolzano con il d.P.R. 17 luglio 1952, n. 1064 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di usi civici), ma fino a che non interverrà la normativa provinciale esse sono esercitate in via provvisoria dal Commissario di Trento (art. 1 d.P.R. n. 1064/1952, cit.). Nelle Regioni a statuto ordinario il trasferimento ha avuto luogo incorporando gli usi civici nella materia agricoltura, con la legislazione delegata sul decentramento amministrativo (art. 1, ., d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, e art. 66, 5° e 6° co., d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616). Solo le funzioni che, incidendo sulla titolarità e regime pubblicistico dei beni furono sempre considerate prerogativa sovrana, sono state mantenute al Capo dello Stato: così l’approvazione delle legittimazioni, la trasformazione delle antiche utenze in enfiteusi perpetue, l’approvazione delle quotizzazioni (artt. 66, 7° co., e 71, lett. i, d.P.R. n. 616/1977); la vigilanza sull’amministrazione dei beni di uso civico è stata invece attribuita direttamente ai comuni (art. 78, lett. b, d.P.R. n. 616/1977). Le funzioni amministrative sono state così separate da quelle giurisdizionali e lasciate solo queste ai commissari. Il commissario è quindi ora solo giudice con poteri inquisitori, compreso quello di sollevare d’ufficio controversie, ma in continuità di rapporti con l’amministrazione regionale.
  4. I poteri d’ufficio del commissario Dopo il trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni è stata posta in discussione la permanenza dei poteri di ufficio del commissario per quanto attiene il promovimento dei giudizi. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione con varie ordinanze hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, 1° co., 1. cit. in fattispecie in cui il commissario aveva, agendo d’ufficio, dichiarato la nullità di contratti di vendita di demani civici posti in essere dai comuni, quasi sempre in palese conflitto d’interesse con gli utenti. In molti casi il commissario ha deciso nell’assenza del comune e senza nominare un curatore speciale a tutela degli interessi degli utenti civici, così cumulando la posizione di parte e quella di giudice (S.U., ord. 21 novembre 1991, n. 820, in Giust. cìv., 1992, I, 679, con nota di F. Paolicelli).

                La Corte costituzionale finora ha evitato di decidere nel merito la questione e ha dichiarato inammissibili le varie ordinanze di rìmessione (C. cost., sent. 19 ottobre 1992, n. 395 e. dopo molte altre, ord. 2 febbraio 2014 n. 21).

Al fine di evitare il ripetersi di simili anomalie processuali, sarebbe auspicabile de jure condendo, che l’esercizio dei poteri d’ufficio del Commissario, per quanto attiene il promovimento dei giudizi, possa essere affidato all’ufficio del p.m. da istituirsi presso i Commissariati regionali degli usi civici.

  1. Competenza del commissario degli usi civici Le controversie possono sorgere o su questioni di diritto — esistenza, natura ed entità dei diritti di cui all’art. 1 l. n. 1766/1927 comprese quelle nelle quali sia contestata la qualità demaniale del suolo o l’appartenenza a titolo particolare dei beni alle associazioni (art. 29 r.d. n. 332 del 1928, art. 29, 2° co., 1. cit.) — o su interessi legittimi (ad es. presupposti per la legittimazione). La competenza dei commissari-giudici è limitata alle questioni su diritti (cioè quelle indicate espressamente all’art. 29 l. cit.). In tutti questi casi è lo stesso commissario che prima dell’inizio del procedimento amministrativo, ovvero sospeso ove sia già in corso, ovvero ancora in sede di opposizione agli atti amministrativi, decide la vertenza in contraddittorio cioè in sede contenziosa.
  2. Il procedimento in contenzioso È regolato dagli artt. 27-31, capo 3°, l. n. 1766/1927 e dal tit. III r. d. n. 332 del 1928. È un procedimento semplice con rinvio generico alle norme del processo pretorile: è previsto l’esonero da ogni forma della procedura ordinaria salvo l’obbligo tassativo del rispetto del principio del contraddittorio in ogni fase del processo (Cass., 2 marzo 1967, n. 470, in Foro it., 1967, I, 964). Non si ammettono in genere nullità procedimentali tranne quelle che importano incertezza assoluta sui soggetti, oggetto e contenuto degli atti (art. 31 l. cit.). Le parti possono stare in giudizio anche senza ministero di difensore né sono richieste formalità specifiche per il conferimento della procura ad litem. Si applicano in genere le norme del processo ordinario che non siano incompatibili con
 

la natura del processo commissariale e gli speciali poteri inquisitori del Commissario (Cass., 11 ottobre 1961, n. 2072, in Giust. civ., 1962, I, 1982). II commissario ha ampi poteri istruttori, può consultare direttamente gli atti d’ufficio, modificare e disporre la rinnovazione delle istruttorie  demaniali.

  1. Esecuzione delle decisioni commissariali – Le decisioni dei commissari sono esecutorie di diritto nonostante reclamo (art. 31, ult. co., 1. cit.); la Corte di appello può ordinarne la sospensione quando possono derivarne gravi danni (art. 32, ult. co., 1. cit.).
  1. I mezzi di impugnazione

 Appello – Contro le decisioni dei commissari su questioni di  diritto (esistenza, natura ed estensione dei diritti di cui all’art. 1 l. cit. e rivendica delle terre) è ammesso uno speciale reclamo alla sezione speciale della Corte di appello di Roma che. come sezione speciale della giurisdizione ordinaria, ha competenza per tutta l’Italia — artt. 32 1. n. 1766/1927 e 3 1. n. 1078/1930 — esclusa la Sicilia che ha una sezione speciale a Palermo (d. legisl. 2 marzo 1948, n. 141 e art. 9 l.1078/1930).

Il d.lgs.1 settembre 2011 n.150 di semplificazione dei procedimenti civili di cognizione  ha in parte modificato e in parte abrogato le disposizioni speciali che regolavano il processo usi civici d’appello nel sistema previgente, estendendo ad esso le norme del rito ordinario di cognizione, ove non diversamente disposto dagli artt.  33 e 34 dello stesso decreto 150.

Il decreto 150  è in vigore dal 6 ottobre 2011. Da tale data il processo usi civici  è quindi soggetto alle norme del codice di procedura civile, con le deroghe indicate espressamente dal decreto 150.

Le norme speciali del contenzioso in materia dei demani e diritti civici  sono correlate all’interesse pubblico che sta alla base del procedimento di accertamento, gestione e tutela dei diritti civici delle popolazioni. Ed è in funzione di questo interesse che la giurisprudenza delle corti di cassazione e costituzionale ha potuto ritenere legittime sia le norme processuali di deroga al rito ordinario che, in particolare, il potere di  promovimento d’ufficio dell’azione da parte del commissario regionale degli usi civici. Occorre anche dire che il potere d’ufficio del commissario, incidendo sul principio della terzietà del giudice, è questione tuttora assai dibattuta  in  giurisprudenza ed è stata di nuovo rimessa all’esame della corte cost. da cass. ord.n.14903 del 13 giugno 2013.

Oggetto e limiti del giudizio di appello:

L’art. 32 della legge n. 1766 del 1927, al 1°comma, stabilisce oggetto e limiti del  reclamo che può riguardare unicamente “…le decisioni dei commissari su tutte le questioni  concernenti l’esistenza, la natura e l’estensione dei diritti civici e la rivendicazione delle terre…”.   Su tutte le altre questioni, di rito e su diritti o interessi legittimi, la competenza è del giudice ordinario o  amministrativo.

Il comma 2° riguarda il termine del reclamo che è di 30 giorni dalla notificazione della decisione del commissario; il comma 3° dispone che il reclamo contro le decisioni preparatorie o interlocutorie va proposto unitamente alla decisione definitiva.

In base al 4° comma, quando il giudice di appello, riformando la decisione del commissario, ravvisa la necessità di nuove indagini tecniche, non decide nel merito in via definitiva, ma rimette gli atti al commissario per un supplemento di indagini.

Il 5° comma prevede che la Corte può ordinare la sospensione delle decisioni impugnate, quando possono derivarne gravi danni.  Sulla domanda di sospensione la Corte provvede in ogni caso con sentenza (art. 78 del r.d.332 del 1928).   

Le altre norme procedurali sul contenzioso erano contenute nella legge 10 luglio 1930 n. 1078 sulle controversie in materia di usi civici. Gli artt. da 2 fino a 8  della legge 1078 del 1930 sono stati abrogati in modo espresso dal comma 42 dell’art. 34 del decreto 150.

Tra le norme abrogate, gli artt.2 e 7 regolavano il sistema  della notifica d’ufficio, a cura della cancelleria, delle decisioni dei commissari e dei giudici di appello (infra sub par.4.1.) L’art.3 disponeva che nel processo d’appello si osservano le norme ordinarie della procedura civile e quelle stabilite dalla l. 1766 del 1927 e dal regolamento approv. con il r.d. 26 febbraio 1928 n. 332, “in quanto non modificate dalle disposizioni seguenti” cioè dalle norme  della legge 1078.

            Ricordiamo che nel 1930, all’entrata in vigore della l. 1078, era ancora vigente il codice di procedura del 1865, e si applicavano, quindi, le norme procedurali del vecchio rito, che prevedevano, tra l’altro, la distinzione tra la fase presidenziale per la trattazione della causa e la fase cautelare, e la fase collegiale per la decisione. L’art. 6 della l. 1078 stabiliva, infatti, che “ tutti gli atti e documenti che le parti intendono esibire in giudizio devono essere depositati nella cancelleria prima dell’udienza stabilita  per la discussione, entro il termine che sarà stabilito dal presidente, il quale nomina il relatore e stabilisce fino a quando le parti avranno diritto di depositare comparse aggiunte.”  Tali disposizioni di rito sono in pratica tratte dall’ art. 5, penultimo comma,  della legge 31 marzo  1901 n. 107 e 2° comma dell’art. 6 r.d. 31 agosto 1901 n. 413 sul procedimento sommario.

L’art. 4, 1° comma, disponeva la notifica del reclamo, nel termine di trenta giorni dalla notifica d’ufficio della decisione di 1° grado, a tutti coloro che avevano interesse ad opporsi alla riforma della sentenza impugnata con  un termine per la comparizione delle parti, “ non minore di giorni venti  né maggiore di trenta,”:  il reclamo doveva essere comunicato  al procuratore generale presso la corte d’appello , ed inoltre,“ tutte le comparse nel corso del giudizio devono essere comunicate all’ufficio del pubblico ministero”(2° e 3° comma dell’ art.4).

Nel processo d’appello, l’intervento del Pubblico Ministero è giustificato dall’interesse pubblico della materia. E’prevista anche la comunicazione delle decisioni  sia al pubblico ministero che al Ministro dell’agricoltura, ora delle politiche agricole, alimentari e forestali (art.7, 2° comma). Per la stessa ragione, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali è titolare del potere di promuovere d’ufficio “… ogni azione o ricorso a difesa dei diritti delle popolazioni anche in contraddizione del comune o dell’associazione agraria…” ( art. 10  l. 1078).

Il d.lgs. 1 settembre 2011 n.150.  Esaminiamo ora le modifiche portate dal d.lgs. 1 settembre 2011 n.150 al giudizio di appello nelle  controversie in materia di usi civici.

L’art. 33, 1° comma, del d.lgs. n.150, in vigore dal 6 ottobre 2011, ha disposto che “ l’appello contro le decisioni dei commissari regionali di cui all’art. 32 della legge 16 giugno 1927 n.1766, è regolato dal rito ordinario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo”.

I commi da 2 a 7 dell’art. 33 hanno mantenuto: 1) la speciale competenza territoriale della corte di appello di Palermo per i reclami avverso le decisioni del commissario usi civici per la regione siciliana, e della Corte di  appello di Roma per i reclami avverso le decisioni dei commissari in tutte le altre regioni; 2) il termine di 30 giorni dalla notificazione della decisione impugnata per la proposizione dell’appello, “a pena di inammissibilità”; 3) la non proponibilità dell’appello immediato avverso le decisioni parziali o interlocutorie; 4)  la notifica dell’atto di citazione a tutti coloro che hanno interesse ad opporsi alla domanda di riforma della decisione  impugnata; 5) la partecipazione al giudizio del pubblico ministero; 6)  la  richiesta al commissario di trasmettere tutti gli atti istruttori  compiuti nella causa; 7) la comunicazione a cura della cancelleria, della decisione definitiva al ministero  delle politiche agricole, alimentari e forestali.

L’art. 34, al comma 41 porta le seguenti modifiche all’art. 32 della legge 1766 del 1027: alla lett.a), si dichiara che “il reclamo alle corti di appello, aventi giurisdizione nei territori ove sono situati i terreni in controversia o la loro maggior parte” (1° comma art. 32 cit), diventa “ il reclamo dinnanzi l’autorità giudiziaria ordinaria”  e  che “ le controversie di  cui allo stesso 1° comma “ sono disciplinate dall’art. 33 del d.lgs. 150 del 2011”.  Alla lett. b), si  dispone l’abrogazione  dei commi dal secondo al quinto dello stesso art. 32.

Come detto, il comma 42  dell’art. 34 ha abrogato gli articoli dal 2 all’8 della legge 10 luglio 1930 n. 1078.

Il processo usi civici d’appello è, quindi, passato dal rito speciale di cui all’art. 32  della legge 16 giugno 1927 n.1766  e articoli dal 2 all’8 della legge 10 luglio 1930 n. 1078 sulle controversie in materia di usi civici, alle norme del rito ordinario, con le deroghe di cui agli artt.  33 e 34 commi 41 e 42 dello stesso d.lgs. 150.

I principali effetti del decreto 150 sul sistema previgente sono stati esaminati  nella nota dell’avv. Lorizio, segr. gen. di  Aproduc pubblicata nel sito.

Decorrenza del d.lgs.150 del 2011. Per quanto riguarda l’applicabilità della nuova normativa, in vigore dal 6 ottobre 2011, sui processi pendenti, l’art. 36, comma 1,  delle disposizioni transitorie e finali, stabilisce che “ le norme del presente decreto si applicano ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso.  Le norme  abrogate o modificate dal presente decreto continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore dello stesso”.

            La norma transitoria, disponendo che le norme modificate od abrogate dal decreto, continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data del 6 ottobre 2011, (data di entrata in vigore del decreto), deroga espressamente al principio generale della immediata applicabilità delle norme processuali.

 La norma transitoria vale per tutti i procedimenti semplificati. Nel processo usi civici, si applica sia nel giudizio commissariale che in quello d’appello. Per quanto riguarda il processo d’appello,  in particolare, la nuova normativa deve ritenersi applicabile solo alle cause instaurate  davanti ai commissari  successivamente all’entrata in vigore  del decreto, per l’espresso disposto dell’art. 36, 1 comma cit. Così ha ritenuto la Corte di appello, di Roma, sez. usi civici con la sentenza  n. 29 del 9 novembre 2013, che è la prima decisione in  termini.

Con il d.lgs.150 del 2011,  sono state senz’altro eliminate le maggiori disparità ed anomalie del sistema delle leggi del 1927/30 sul processo usi civici rispetto ai canoni fondamentali del giusto processo.

Le deroghe più pregiudizievoli riguardavano, come detto: 1. le notifiche d’ufficio delle decisioni commissariali e d’appello con la conseguente decorrenza dei termini brevi di impugnativa, e, quindi, l’esclusione dell’impugnativa nel termine cd. lungo decorrente dal deposito della sentenza; 2. il sistema della istruttorie tecniche nel giudizio di appello.

       L’aver eliminato queste anomalie è senz’altro utile in un sistema processuale che, nella sua attuazione, aveva deviato profondamente dagli intenti del legislatore del ‘27 anche in termini di rapidità e semplificazione del contenzioso. Va anche detto che il sistema utilizzato dal decreto per semplificare il processo d’appello appare un po’ macchinoso, ma è senz’altro da approvare nella parte relativa alle modifiche introdotte.

9. – Ricorso per Cassazione – La decisione della Corte di appello è ricorribile in cassazione nel termine ordinario di 60 giorni dalla notifica della sentenza d’appello e nel termine semestrale, ove la sentenza non sia notificata a cura delle parti.  

Nel termine di 60 giorni è proponibile anche il ricorso in unico grado per violazione di legge ex art. 111 Cost. avverso i provvedimenti giurisdizionali del commissario che non decidono su questioni di diritto (e cioè su questioni diverse da quelle di cui all’art. 32 1. n. 1766/1927) e che quindi non sono appellabili. Forse nel disegno della legge n. 1766 del 1927 vi era identità tra oggetto della giurisdizione e oggetto dell’appello, ma essendosi interpretata la legge nel senso che la giurisdizione si estende a questioni non previste dall’art. 32 (ad es. liquidazione usi, scioglimento di promiscuità) si è ritenuto estendere l’appello anche ad esse, che altrimenti resterebbero inappellabili e suscettibili solo di ricorso in cassazione ex art. 111 Cost.

         10. Contenzioso amministrativo. Quando viene emesso un provvedimento decisorio (amministrativo) che lede interessi legittimi, la decisione è impugnabile con ricorso innanzi il giudice amministrativo (TAR e Consiglio di Stato) secondo le norme ordinarie di questo processo. Poiché prima del decreto di trasferimento delle funzioni alle regioni, erano i commissari a decidere anche con poteri amministrativi, la giurisprudenza in numerose decisioni ha concordemente dichiarato che, circa i gravami, occorre tenere presente il contenuto e non la sede e le norme in cui vengono emesse le decisioni (Cass., S.U., 1 giugno 1956. n. 1874, in Giust. civ., 1956, l, 1667).

Brevi note

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