Usi civici, proprietà collettive e comunità di villaggio nel mondo (sezione in corso di aggiornamento)
1. La sopravvivenza delle comunità originarie nel mondo moderno testimonia l’interesse e l’importanza di queste antiche forme di gestione collettiva del territorio. Esse si differenziano dalle forme economico sociali oggi dominanti, perche pur avvalendosi delle moderne tecnologie, hanno saputo conservare uno stile di vita in armonia con la natura, e perché si oppongono alle forme di utilizzo distruttive del territorio.
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La gestione del patrimonio agro silvo pastorale seguendo le antiche pratiche consuetudinarie e le normative locali significa anche sopravvivenza e difesa degli organismi e biotopi originari che altrimenti andrebbero persi per sempre. Per questo le comunità originarie sono definite “ custodi della terra” perché assicurano la difesa del territorio dagli interessi speculativi delle classi dominanti. E sono dette anche “comunità inter generazionali” perché la gestione collettiva e lo speciale regime di inalienabilità e di tutela consente soprattutto di conservare il patrimonio ambientale per le generazioni future, per i figli dei figli.
In questa sezione indichiamo in modo molto sintetico e sommario le antiche etnie locali che sono numerosissime e sopravvivono in stato di isolamento, di povertà ed oppressione nelle aree più estreme e lontane: nelle isole Papua della Nuova Guinea, nel deserto di Gibson in Australia, nelle regioni subartiche della Norvegia, nel Chiapas in Messico, nelle foreste amazzoniche, nelle aree interne asiatiche etc. nei paesi sub coloniali dell’America Latina, negli Stati dell’Africa nera.
Ricordiamo che le popolazioni derivate dalle società precoloniali, che si svilupparono prima delle invasioni dei colonizzatori, furono riconosciute e definite “popoli indigeni” dalla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite nel 1982. Sono importantissimi anche i piccoli gruppi indigeni isolati come i pigmei nell’Africa equatoriale, i tuareg nel deserto del Sahara , i lapponi nelle terre subartiche dalla Norvegia fino alla Russia, le comunità Hmong che vivono nelle foreste del Laos, nel Vietnam, nelle provincie dell’Est della Cina.
La situazione è diversa nelle zone, ad es. nel Canada e negli Stati dell’America del Nord dove gli indiani d’America, i pellerossa Sioux, i navajos, hanno in parte cercato e sono riusciti con l’istruzione ad integrarsi nella società dei bianchi, anche se la maggior parte conduce una vita molto misera e semplice di allevatori ed agricoltori. é interessante ricordare che le comunità indiane (c.d. nativi americani ) hanno ottenuto dalla Commissione ONU del 1982 il riconoscimento dei loro antichi diritti, in particolare il diritto al possesso del loro territorio e alla loro diversità di cultura e di stile di vita.
Per questa ragione Aproduc si propone di raccogliere e pubblicare nel sito tutte le notizie ed informazioni di stampa relative agli antichi diritti civici delle comunità originarie che ancora esistono nelle diverse parti del continente.
Indichiamo le aree geografiche e gli Stati in cui sopravvivono le antiche forme di gestione comunitaria.
Le notizie, molto in sintesi, sono tratte dalla bibliografia più corrente e sono necessariamente generiche data la difficoltà delle ricerche e la scarsità di documenti utilizzabili. E vanno sempre aggiornate.
- In Europa: nei paesi del Nord e Centro Europa, forme di gestione comunitaria si sono mantenute, in base agli statuti, regolamenti degli usi ed antiche consuetudini, sopratutto nei paesi di diritto germanico, come dalla bibliografia che indichiamo di seguito. Le comunità originarie sono concentrate nelle zone rurali, nelle vallate e pascoli montani, dove, si possono trovare ancora vecchie strutture e usanze di vita tradizionali. Ma vi sono anche comunità che si stanno evolvendo per effetto delle nuove tecnologie produttive con iniziative economiche importanti, in aree di interesse agro-turistico e recettivo.
Per notizie sulla storia degli usi civici e proprietà collettive/civiche delle comunità di villaggio nei paesi di diritto germanico in Europa, abbiamo pubblicato sul sito nella sezione Dottrina/Pubblicazioni le relazioni del Convegno di Pieve di Cadore del 1986. In particolare segnaliamo: per i Paesi Europei, relazione del prof. P.H. Stahl, “L’evoluzione storica delle comunità di villaggio”; · per Austria, Tirolo e Vorarlberg, relazione del prof. E. Lang, “Comuni e comunità agricole in Austria, in particolare in Tirolo e Vorarlberg”; · per la Norvegia, relazione del prof. H. Sevetdal, “Le proprietà collettive nelle aree rurali in Norvegia”; · per la Polonia, relazione dei proff. B.Wierzbowski e Z. Witkowski, “Le comunità fondiarie in Polonia: il tentativo di adeguamento delle vecchie istituzioni giuridiche al nuovo ordine sociale”; · per la Svizzera, relazione del prof. R. Broggini; · per l’Ungheria, relazione del prof. H. Thamas “Forme e gestione della proprietà agraria collettiva in Ungheria”; · per la Russia, relazione del prof. P.P.Poggio “Controversie intorno alla “Comune rurale”russa”.
Diversa è la storia dei paesi di diritto anglosassone, dove i grandi campi aperti al pascolo comune (commons land) si sono progressivamente ridotti, a partire dal XVI secolo fino a fine ‘700 a seguito e per effetto dei processi di industrializzazione.
La rivoluzione industriale ha determinato la chiusura (enclosures) dei grandi commons, ad opera dei proprietari terrieri, i quali con chiusure dei fondi del tutto illegali, impedivano l’utilizzo dei pascoli da parte della gente comune. Contadini ed allevatori, privati della loro unica fonte di sostentamento, si riversavano così nei sobborghi londinesi e nei centri urbani vivendo in assoluta povertà.
I commons residuati sono ora regolati dalla legge “Commons Act 2006”, che si propone di regolamentare, in modo sostenibile, i rapporti tra il Commoner e i proprietari terrieri, che si riuniscono e lavorano insieme nei Consigli, per regolare il pascolo e le altre attività agricole, tutelare le aree verdi, al fine di evitare abusi ed invasioni non autorizzate (http://www.legislation.gov.uk/ukpga/2006/26/contents?view=plain).
In Francia il pascolo collettivo, la vaine pature e il parcours sono cessati alla fine dell’Ancient Regime, XVIII secolo, come è descritto ampiamente da Marc Bloch in “La fine della comunità e la nascita dell’individualismo agrario”, Jaka Book, nuova ed. 2017.
Ci limitiamo a ricordare che in Francia il Code Napoleon del 1804 disponeva, all’art. 542, che i biens communaux erano beni sui quali gli abitanti della comunità – e non il comune ente pubblico – avevano un diritto di proprietà o di utilizzo: “ceux à la propriété ou aux produits des quels, les habitants d’une ou des plusiers communes ant un droit acquis”.
Nei paesi del Sud Europa è prevalso e si è mantenuto invece il modello della proprietà esclusiva ed individuale propria del diritto romano, che ha di fatto impedito ogni vera forma di gestione comunitaria. Infatti, nelle regioni del Sud Italia dove vi erano grosse estensioni di demanio aperte agli usi della comunità dei residenti, (i cives, da cui demanio civico), la gestione era affidata per legge all’ente comune, proprio per la mancanza dell’ente di gestione specifico.
Per approfondimenti sul demanio civico, si veda sul sito al punto n. 5 della voce Guida Usi civici.
Per gli altri stati del Sud Europa, in particolare per la Grecia, Jugoslavia e Spagna, si rinvia alle specifiche relazioni del convegno di Pieve di Cadore del 1986: · per la Grecia, relazione della prof.ssa Sofia Descalopouloa Capetanakis, “Forme di proprietà collettiva e organizzazione familiare nel massiccio di Aroania (Peloponneso XIX e XX secolo); · per la ex-Jugoslavia, relazione del prof. N.Pavkovic, “Le caratteristiche della proprietà collettiva tradizionale nella Jugoslavia contemporanea”; · per la Spagna, relazione del prof. R. Bocanegra Sierra, “I “montes vecinales” comunitari in Spagna”.
- Negli Stati del Nord America: negli States e nelle foreste del Canada, le tribù dei pellirosse furono decimate dai bianchi, quando arrivarono gli europei, nel XV secolo fino alla fine del sec. XIX.
Nell’America del Nord gli Indiani Mapuche e gli indiani Sioux furono decimati e chiusi nelle riserve (circa 300), ma nonostante ciò essi hanno saputo mantenere intatta la loro cultura ed identità, adattandosi alle nuove tecnologie e stili di vita, e sono oggi indicati come “nativi americani”.
I “nativi americani” non hanno mai accettato la conquista delle loro terre da parte dei bianchi, ed hanno sempre chiesto il riconoscimento dei loro diritti originari di antico Stato.
I diritti originari, come sappiamo, non si perdono mai, perché sono diritti primari e fondamentali per la vita e la sopravvivenza, non possono essere rinunciati e possono essere rivendicati in ogni tempo dal singolo civis e dal gruppo o comunità, e corrispondono ai nostri diritti civici.
Nel 1978 il Congresso degli USA ha riconosciuto con legge la libertà di culto ai nativi americani e ha considerato le 500 nazioni dei nativi d’America come entità legale (estratto da La Repubblica R2 Cultura 16 dicembre 2016).
Negli Stati del Centro e del Sud America: Messico, isole dei Caraibi, Cuba, Guatemala, Perù, Bolivia, le comunità indigene degli indios sono sopravissute alla distruzione degli imperi Incas, Maja e Aztechi da parte dei conquistadores spagnoli e portoghesi.
Le comunità residue traggono i mezzi necessari alla vita dalla terra, dal bosco, dalla caccia, seguendo gli antichi usi e tradizioni. Nella foresta amazzonica vivono circa 400 comunità indigene, 60 delle quali non hanno mai avuto contatti con il mondo esterno, ad es. i Guaranì intorno al fiume Paraguay, che si oppongono ad ogni intrusione e contaminazione da parte dei “bianchi”, al fine di conservare le loro antiche tradizioni, consuetudini e stile di vita. E in tal modo, essi riescono, con i loro poveri mezzi, ad evitare la distruzione del loro territorio ed ambiente.
La foresta Amazzonica comprende otto stati sudamericani su dodici, tra cui il Perù, la Bolivia, il Brasile, ed è la più grande riserva di biodiversità della terra. Le popolazioni indigene hanno saputo conservare le loro Terre, con la loro stessa presenza, opponendosi agli interventi delle grandi lobby economiche: deforestazioni, escavazioni per infrastrutture, concessioni petrolifere, che mettono a rischio la conservazione del pianeta e degli stessi esseri viventi.
Tuttavia, a differenza dei nativi americani degli Stati del Nord America che hanno ottenuto il riconoscimento delle antiche 500 Nazioni, le tribù del Centro-Sud America non sono riuscite finora a fermare l’aggressione sia degli USA che delle potenti multinazionali che continuano a schiavizzare le popolazioni autoctone e a depredarle delle loro ricchissime miniere e risorse territoriali. Come detto, la stessa presenza delle tribù indigene nelle foreste serve a salvaguardare questi ambienti ancora incontaminati, ricchi dei biotipi e semi originari, tra gli ultimi polmoni verdi del pianeta.
- Ci riserviamo la trattazione dei temi che riguardano le comunità indigene dei paesi dell’Africa e dell’Asia, anch’essi esposti al rischi di estinzione, a seguito del contatto con il mondo occidentale, e dei relativi conflitti politici e religiosi
- In conclusione, in questa Sezione ci proponiamo di dare le indicazioni e notizie più interessanti e significative sulle forme di vita attuali delle comunità rurali più isolate che cercano di difendere i loro diritti originari, le loro usanze e i loro stili di vita, evitando il contatto con il mondo civilizzato, e opponendosi anche alle forme speculative del nostro sistema economico.
Tra le popolazioni più isolate e non ancora contaminate dallo stile di vita moderno occidentale, citiamo, sulla base di notizie della Stampa più autorevole e studi di settore, la comunità degli Haida Gwaii che vivono nelle isole canadesi al largo della Columbia britannica, nell’Oceano Pacifico, i pescatori di foche nelle zone dell’Artico, gli Inuit nella Groenlandia, i Masai dei villaggi tribali del Centro e Sud Africa, tra Kenya e Tanzania, i villaggi tribali nelle aree più povere dell’Asia, le comunità di aborigeni delle isole dell’Oceania, Australia, Neo Zelandia, etc.